Sistema sanzionatorio in materia di violazioni delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica Coronavirus

Scelte in ottica politico-criminale: dalla contestazione del reato di cui all’art. 650 c.p. alla depenalizzazione delle violazioni in illecito amministrativo 

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Allo scopo di evitare il diffondersi del Coronavirus e far fronte alla situazione emergenziale del Paese, il Governo ha emanato in poco più di un mese sei Decreti Legge recanti le misure di contenimento dell’epidemia, affidando ai cosiddetti DPCM il compito di attuare in concreto le disposizioni limitative.

La scelta iniziale del Governo, in ottica di politico-criminale, è stata quella di affidare allo strumento repressivo del sistema penale il compito di punire le violazioni e il mancato rispetto delle misure predisposte.

Rilievo primario nell’ambito dei principi cui è ispirato il moderno diritto penale è detenuto dal principio di legalità, nullum crimen sine lege : dal principio in questione si desume la centralità della scelta politica  nello stabilire la punibilità o meno del fatto antisociale.

Corollario principale del principio di legalità, che trova riconoscimento nell’art. 25 secondo comma, della Costituzione e nell’art. 1 del codice penale, è il principio di riserva di legge, in forza del quale il monopolio della criminalizzazione spetta al potere legislativo statale (il Parlamento).

Ci si è interrogati, pertanto, in presenza di provvedimenti del Potere Esecutivo incidenti sulle fattispecie penale:

1) sull’ ammissibilità in materia penale degli atti aventi forza di legge (Decreto Legge e Decreti Legislativi );

2) sulla natura assoluta o relativa della riserva di legge: ci si chiede cioè se sia possibile ritagliare uno spazio di intervento a norme di rango secondario adottate dal potere esecutivo (ad es. Decreti Ministeriali).

In ordine alla prima questione, è ormai riconosciuta dalla dottrina maggioritaria l’attitudine dei Decreti Legge (Mantovani-Romano) e dei Decreti Legislativi (Sentenza Corte Costituzionale n.5 del 2014) ad incidere nella materia penale.

In ordine alla seconda questione, prevale in dottrina la tesi della riserva di legge “tendenzialmente assoluta” (Romano – Fiandaca, Musco – Marinucci, Dolcini) secondo la quale è ammesso il rinvio a norme secondarie di rango amministrativo al fine di integrare il precetto penale.

Al fine di fronteggiare la situazione contingente della pandemia, il Governo aveva adottato, in ossequio all’art. 77 Costituzione, il Decreto Legge 23 febbraio  2020 n.6 recante disciplina in materia penale (art. 3, comma 4): era lì previsto che il mancato rispetto delle misure di contenimento introdotte mediante DPCM (e tracciate nelle linee essenziali nello stesso Decreto) fosse punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.

Norma incriminatrice che punisce “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene […]”, sempre che il fatto non costituisca altro più grave reato. Le ragioni d'igiene, in particolare, si riferiscono alla materia della sanità pubblica.

La prevalente dottrina fa rientrare tale fattispecie nelle norme penali in bianco: cioè una norma in cui è enunciata solo la sanzione, mentre il precetto viene fissato di volta in volta nel provvedimento emanato dall'Autorità.

Se le norme penali di regola risultano costituite da due elementi, il precetto (praeceptum legis) e la sanzione (sanctio legis): il precetto è il comando statuale di tenere una certa condotta, e cioè di astenersi dal compiere una determinata cosa o di compiere una determinata azione; la sanzione è la conseguenza giuridica che segue l’infrazione del precetto. Non sempre la norma nei suoi due elementi essenziali, precetto e sanzione, si trova contenuta in una sola disposizione di legge: le norme penali in bianco - l’art. 650 c.p. potrebbene dirsi l’archetipo - presentano una sanzione determinata e un precetto che ha un carattere generico dovendo essere completato da un elemento futuro: le prescrizioni dell’Autorità, appunto (Antolisei).

Il Decreto Legge del 23 febbraio prevedeva, come detto, che l’inosservanza delle misure adottate per ragioni di salute pubblica fosse suscettibile di integrare la norma penale.

La scelta di utilizzare tale strumento repressivo da parte del Governo tuttavia, ha dimostrato la sua limitata portata deterrente principalmente per due ragioni:

1) la fattispecie penale di cui all’art. 650 c.p. è contravvenzione oblabile ai sensi dell’art. 162-bis c.p.:  l’ammissione al pagamento di una somma minima di 103 euro estingue il reato e chiude il procedimento penale;

2) la difficile gestione del carico dei procedimenti penali che si stavano incardinando: si stimano circa 100.000 denunce elevate nei confronti dei contravventori delle misure in pochi giorni;

Il Governo è intervenuto, pertanto, con nuovo Decreto Legge n. 19 del 25 marzo 2020, con il quale ha riordinato l’intera disciplina emergenziale e ha trasformato il sistema sanzionatorio da penale in amministrativo (previa abrogatio del Decreto Legge n. 6 del 23 Febbraio): ai sensi dell’art. 4 del provvedimento avente forza di legge il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito oggi con la sanzione pecuniaria da 400 a 3.000 euro e con altre sanzioni accessorie.

La violazione delle misure, pertanto, non integra (più) alcun reato ma costituisce un illecito amministrativo, disciplinato secondo le regole previste dalla legge n. 689 del 1981 producendo una vera e propria depenalizzazione dell’illecito in parte qua: il legislatore ha scelto  di lasciare immutato il contenuto dei precetti - sostituendo la valenza penale con quella amministrativa – affidando l’effetto di deterrenza alla sanzione pecuniaria più elevata e su sanzioni accessorie, più adeguate in termini di efficacia e incisività, irrogate direttamente dall’Autorità amministrativa.

La discrezionalità politica del Governo ha determinato, pertanto, un restringimento del campo di azione della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., determinando l’inapplicabilità della fattispecie alle violazioni delle misure di contenimento del Coronavirus.

Al di là della non chiara formulazione del primo comma dell’art. 4 del Decreto (“non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650  del  codice  penale”), l’intento dell’Esecutivo traspare chiaramente dal comma 8 dell’art. 4, che reca le disposizioni di diritto intertemporale, per consentire il passaggio dal vecchio al nuovo regime sanzionatorio,  che stabiliscono l’applicazione di sanzioni amministrative anche alle violazioni precedenti all’entrata in vigore del Decreto.

L’introduzione di tale norma consente di evitare l’effetto derivante dalla convergenza in tale sede del principio - ex art. 2, comma 2, c.p. ( Abolitio Criminis, “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato”) ed ex art. 1, L. 689/81 - che avrebbero portato, per un fatto commesso anteriormente all’entrata in vigore del decreto, al paradosso dell’inapplicabilità sia della sanzione penale (non più vigente al momento del giudizio), che della sanzione amministrativa (non ancora vigente al momento del fatto).

In ultimo si evidenzia come secondo costante giurisprudenza e dottrina dominante (Dolcini- Siniscalco) la norma di cui all’art. 650 c.p. è destinata a trovare applicazione solo quando l'inosservanza del provvedimento dell'autorità non sia sanzionata da alcuna norma penale, processuale o amministrativa (Cass. I, n. 3579/1998; Cass. I, n. 43398/2005, Cassazione penale 15 febbraio 2019 n. 25322 Sez. III): “in tema di inosservanza di provvedimento dell'autorità, la disposizione di cui all'art. 650 c.p. è norma di natura sussidiaria, che trova applicazione solo quando l'inosservanza del provvedimento dell'autorità non sia sanzionata da alcuna norma, penale o processuale o amministrativa”.

Al mancato rispetto delle misure di contenimento corrisponde sanzione amministrativa ed è, pertanto, inapplicabile la norma penale di cui all’art. 650 c.p., già in ogni caso resa inoperativa, come detto, per scelta politico criminale dell’Esecutivo.

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