Perplessità sulle falsità ex art. 483 C.P.

Configurabilità dell’art. 483 C.P.

1. Aporia interpretativa concerne l’incriminabilità ex art. 483 c.p.  per le false dichiarazioni rese dal cittadino al pubblico ufficiale (anche in relazione al più aggiornato modello di autodichiarazione) diverse da quelle concernenti identità, stati, qualità personali, come ad esempio la falsa motivazione resa per giustificare il proprio spostamento che non rientrano nella nozione di penalmente rilevanti ex art 495 c.p. : a) di non essere sottoposto alla misura della quarantena ovvero di non essere risultato positivo al COVID-19 (fatti salvi gli spostamenti disposti dalle Autorità sanitarie), previste nella seconda parte del certificato: b) che lo spostamento è iniziato da (indicare l’indirizzo da cui è iniziato) con destinazione […]; c) di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio vigenti alla data odierna ed adottate ai sensi degli artt. 1 e 2 del Decreto Legge 25 marzo 2020, n.19, concernenti le limitazioni alle possibilità di spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale; d) di essere a conoscenza delle ulteriori limitazioni disposte con provvedimenti del Presidente delle Regione (indicare la Regione di partenza) e del Presidente della Regione(indicare la Regione di arrivo) e che lo spostamento rientra in uno dei casi consentiti dai medesimi provvedimenti; e) di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall’art. 4 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19; infine, come detto, le ragioni dello spostamento f) che lo spostamento è determinato da: (indicare le ragioni).

Orbene con riguardo alle attestazioni di cui alle lettere dalla a) alla f) (che possiamo qui dire attestazioni parallele) rese al pubblico ufficiale ed in particolare tra queste le ragioni che hanno determinato a muovere dalla propria abitazione o hanno condotto l’agente sulla pubblica via o il tragitto che intende percorrere o il luogo di destinazione da raggiungere esulano, come detto, dalla sfera punitiva dell’art. 495 c.p., richiamato dal testo dell’autodichiarazione, poiché non sono destinate ad attestare identità, stati o qualità personali: “sarà applicabile l’art. 495 c.p. quando la falsa dichiarazione riguardi l’identità, lo stato o altre qualità personali: sarà invece applicabile l’art. 483 c.p. quando la falsità riguardi altri fatti.” (Cass. Pen, Sez. V, 16 gennaio 2001, n.89, in iusexplorer.it.).

È escluso poi che le dichiarazioni parallele possano integrare il successivo art. 496 c.p. in ragione della clausola di riserva di cui all’incipit della norma: “fuori dei casi indicati negli articoli precedenti” riduce l’incriminazione alle sole ipotesi non ricomprese negli articoli precedenti. Tra questi rileva ai presenti fini, in particolare, per l’art. 483 c.p..

Tali dichiarazioni, ove riportate nell’autocertificazione, potrebbero rientrare nel cono sanzionatorio previsto dall’ art. 483 c.p. “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (reclusione fino a due anni per chi attesti falsamente in un atto pubblico fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità). Ci si chiede, in caso di risposta affermativa, entro quali limiti.
Vanno delineati, in primo luogo, gli elementi costitutivi del falso ex art. 483 c.p. e la nozione di “atto destinato a provare la verità”; occorrerà poi verificare se le informazioni dalla lett. a) alla f) che il privato è tenuto ad inserire nell’autodichiarazione possano connotarsi quali “fatti a diretta conoscenza dell’interessato”, definizione utilizzata dall’ art. 47 del D.P.R. 445 del 2000 recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (hinc D.P.R.), norma richiamata in epigrafe nell’autodichiarazione.

Il delitto ex art. 483 c.p. è configurabile solo ove una specifica norma attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero (Cass. Pen., SS.UU., n. 28/1999; Cass. Pen., Sez. V, n.25927/2017, in iusexplorer.it). La violazione dell’obbligo di dichiarare la verità da parte del privato è stata, ad esempio, sanzionata ex art. 483 c.p. nel caso di denuncia di smarrimento della carta di identità o della patente di guida. In tali casi l’obbligo di veridicità assume giuridico rilievo, in quanto sullo stesso riposa la procedura di rilascio di un duplicato del documento stesso (in tal senso, Cass. Pen, Sez. V, 17 settembre 2018, n. 48884, Cass. Pen., 19 febbraio 2013, n. 7995, in iusexplorer.it per smarrimento carta di identità; Cass. Pen., Sez. VI, 8 marzo 2016, n. 17381, Rv. 266740, per smarrimento patente di guida). L’obbligo del privato di dichiarare il vero in seno alle autodichiarazioni sostitutive di atti di notorietà trova il suo fondamento negli artt. 46, 47 e 76 del D.P.R., espressamente richiamati nel testo dell’autodichiarazione in parola : tale richiamo secondo alcuni fonderebbe l’ obbligo per il privato di dichiarare il vero nell’atto medesimo. L’art. 76 punisce, di vero, chiunque rilasci dichiarazioni mendaci sancendo per queste dichiarazioni, al terzo comma, l’applicabilità dell’art. 483 c.p.: “ le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 (…)sono considerate come fatte a pubblico ufficiale ”.

L’autodichiarazione Covid per gli spostamenti non rientra nell’ambito dell’art. 46 D.P.R., (potrebbe astrattamente rientrare nell’art. 47 del medesimo Decreto). L’art. 46 consente al privato di comprovare con dichiarazioni, sottoscritte dall’interessato, in sostituzione delle normali certificazioni stati, qualità personali e taluni fatti tassativamente individuati, i quali sarebbero, in assenza di autocertificazione, rinvenibili in pubblici registri o comunque già di dominio della pubblica amministrazione; ad esempio:

“1. situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;
2. assolvimento di specifici obblighi contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto;
3.  possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell’archivio dell’anagrafe tributaria;
4. stato di disoccupazione;

5. qualità di pensionato e categoria di pensione;
6. qualità di studente;
7. qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;
8. di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;
9. di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali;
10. qualità di vivenza a carico;
11.  tutti i dati a diretta conoscenza dell’interessato contenuti nei registri dello stato civile;
12. di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato
.”

I fatti che l’autodichiarazione Covid richiede di attestare non rientrano in tale elenco tassativo. La casistitica resa in relazione a tali fattispecie valorizza l’incriminazione della dichiarazione destinat[a] a provare la veritàdelle circostanze in ess[a]affermate, che concernono fatti(Cass. Pen., Sez. V, 28 novembre 2019, n. 9115, in iusexplorer.it; Cass. Pen., Sez. V, 16 ottobre 2017 n. 47391 in iusexplorer.it) ad esempio; fattispecie di false dichiarazioni in autocertificazioni circa l’incensuratezza rese, rispettivamente, a corredo dell’istanza di partecipazione ad una gara, e nella richiesta di licenza per l’installazione di apparecchi da gioco all’interno di un bar). Medesimo principio è stato affermato anche in materia di falsa dichiarazione in autocertificazione circa stati, qualità personali e fatti per conseguire l’esenzione dal contributo alla spesa sanitaria (Cass. Pen., Sez. V, 9 luglio 2008, n.38748 in iusexplorer.it).

I fatti dell’autodichiarazione Covid paiono piuttosto rientrare nella nozione residuale di cui all’art. 47 del citato Decreto. Per la configurabilità delle falsità delle dichiarazioni contenute nell’autodichiarazione ex art. 47 cit. rilevano appunto quelle concernenti “fatti che siano a diretta conoscenza dell’ interessato e[…] tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 possono essere comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà” (art. 47 del citato D.P.R.)

Con riguardo alla lett. a), all’oggi è noto il difetto di comunicazione tra nosocomi e cittadini, la differenzialità ed indeterminatezza dei protocolli della stessa comunicazione nosocomio-paziente ; elementi che rendono oggettivamente difficoltoso il presupposto conoscitivo“[de]l non essere sottoposto a quarantena e la consapevolezza di non essere risultato positivo al Covid-19’ (lett.a) e la qualifica degli stessi come “fatti a diretta conoscenza dell’interessato : entrambi gli elementi paiono poco o nulla sicuramente conoscibili e restano dunque inconoscibili da parte del cittadino ; quella che si richiede con l’autodichiarazione all’agente al fine di non incorrere nel mendacio parrebbe essere condizione sanitaria da attestarsi da parte delle strutture sanitarie statali piuttosto che dal cittadino. Tra i due appare, senza meno, più conoscibile l’essere […] sottoposto alla misura della quarantena obbligatoria, nella misura in cui, tuttavia, tale particolare condizione restrittiva sia stata effettivamente notificata e comunicata al cittadino; e qui sarebbe senz’altro preferibile il ricorso ad una comunicazione scritta (anche virtuale o telematica, ma, comunque effettivamente riconoscibile per il cittadino) a significare tale condizione : “1. E’ fatto obbligo alle  Autorità  sanitarie  territorialmente competenti di applicare la misura della quarantena  con  sorveglianza attiva, per giorni quattordici,  agli  individui  che  abbiano  avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva  diffusiva COVID-19.” (Ordinanza del Ministero della Salute, 26 febbraio 2020, art. 1) ; il privato non contattato dalla ASL regionale ed ignaro di aver avuto contatti con soggetti infetti, per le ragioni di cui sopra, non sarebbe formalmente sottoposto alla misura della quarantena e non potrebbe dichiarare il vero in difetto di tali presupposti.  

Ancora è richiesto al cittadino dichiarare il percorso dello spostamento (lett.b) oltre che le ragioni dello stesso (lett.f): in ordine a tali requisiti si  rileva che l’art. 483 c.p. disegna sfera di illiceità per fatti attuali ed obiettivi; non per dichiarazioni di propositi, manifestazioni di volontà, dichiarazioni di intenti o rappresentazioni di propositi futuri, le mere “intenzioni” attestate o dichiarate : l’attestazione di una semplice intenzione dell’agente (“mi sto recando in farmacia”) esula dalla sfera di illiceità dell’art. 483 c.p.; al contrario, ove il cittadino attesti un’azione già compiuta, un “fatto”, un evento di vita già verificatasi (“sono andato a fare la spesa”) e tale dichiarazione risulti falsa, quest’ultima sarà suscettibile di integrare l’art. 483 c.p.(Cass. Pen., Sez. III, 12 ottobre 1982, Servino; Cass.Pen.,Sez. V, 3 dicembre 1982, Cass. Pen., 1984; Cass. Pen., Sez. II, 2 dicembre 1982 in iusexplorer.it). Difatti, l’attestazione consiste sempre ed esclusivamente in una affermazione o negazione di verità, esplicita o implicita, totale o parziale, e non mai in una dichiarazione di volontà (MANZINI, Parte II, I delitti contro la fede pubblica, sub art. 483 c.p., elemento materiale, p. 886, Ed. 1989). 

Il luogo di partenza è dato empirico acquisito, evento di vita, fatto a conoscenza del privato rispetto al quale si può dunque richiedere la veridicità in ordine alla sua affermazione nell’autodichiarazione ; non lo stesso può dirsi in ordine al luogo di destinazione rientrando il raggiungimento di quel luogo da parte del cittadino tra gli intenti o i propositi futuri rispetto ai quali non ha fondamento giuridico la pretesa di veridicità ante factum da parte dell’ordinamento. 

Caso peculiare si determinerebbe ove il privato avesse precompilato la dichiarazione prima di uscire dall’abitazione con un determinato percorso e fosse costretto a mutare tragitto a causa di un evento sopraggiunto medio tempore che, in ogni caso, sia compatibile con le ragioni che legittimano lo spostamento previste in autodichiarazione: tale evenienza ove costituisse oggetto d’addebito di falsità – per non esser ritenuto il percorso compatibile con quello descritto dal cittadino – non parrebbe comunque rientrare nella nozione di “fatto a diretta conoscenza” e pertanto non sarebbe inquadrabile nell’illecito de quo. Si segnalano, tuttavia, sin d’ora gravi difficoltà di accertamento che potrebbero emergere e l’inversione del principio dell’onere della prova che costringerebbe il privato a difendersi dal presunto falso dimostrando la veridicità di quanto dichiarato in ordine al cambio di tragitto.

Raccoglieva per prima i dubbi esegetici indicati nel presente scritto anche la nota della Procura di Genova che esclude l’incriminazione ex art. 483 c.p. stante “l’impossibilità di qualificare come “attestazione” penalmente valutabile la dichiarazione stessa che non può ritenersi finalizzata a provare la verità dei fatti esposti.

Allo stesso modo i dubbi sino a qui esposti, e di cui lo scrivente si faceva portatore già nel primissimo periodo pandemico, hanno trovato prima importante conferma esegetica nella linea  argomentativa tracciata dalla sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano che si è pronunciato sulla possibilità di far rientrare nell’ambito di operatività della fattispecie l’ipotesi di falsità in autocertificazione, con specifico riferimento alle attestazioni circa le proprie intenzioni di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una determinata attività.

Era contestata all’imputato la fattispecie di cui all’art. 76 DPR 445/2000 in riferimento all’art. 483 c.p. poiché in sede di autodichiarazione resa ai sensi degli artt. 46 e 47 DPR 445/2000 e consegnata ai Carabinieri nell’ambito dei controlli sul rispetto delle misure di contenimento COVID-19, aveva riferito il fatto che lo stesso si stava recando presso un collega per ritirare dei pezzi di ricambio dato poi rivelatosi non vero a seguito di accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria.

Orbene il GIP ha affermato che sebbene «non vi siano dubbi circa il fatto che l’intenzione dichiarata dall’imputato nel modulo di autocertificazione non abbia trovato riscontro nei successivi accertamenti della Polizia giudiziaria va, tuttavia, escluso che tale falsità integri gli estremi del delitto di cui all’imputazione, in quanto l’art. 483 c.p. incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”». Dopo aver richiamato l’orientamento giurisprudenziale, sopra citato, secondo cui «sono estranei all’ambito di applicazione dell’art. 483 c.p. le dichiarazioni che non riguardino “fatti” di cui può essere attestata la verità hic et nunc ma che si rivelino mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi», il Giudice ha ancora osservato che : 

– dal dato testuale, «giacché la nozione di “fatto” non può che essere riferita a qualcosa che già è accaduto ed è perciò, già in quel preciso istante, suscettibile di un accertamento, a differenza della intenzione, la cui corrispondenza con la realtà è verificabile solo ex post»;

– sotto il profilo teleologico, «giacché la norma è finalizzata ad incriminare la dichiarazione falsa del privato al p.u. in relazione alla sua attitudine probatoria, attitudine che evidentemente non può essere riferita ad un evento non ancora accaduto»;

– in un’ottica sistematica, «dalla stessa normativa in tema di autocertificazioni, all’interno della quale i “fatti” sono indicati, quale oggetto di possibile dichiarazione probante del privato, insieme agli stati e alle qualità personali, vale a dire a caratteristiche del soggetto già presenti al momento della dichiarazione».

Da tali conclusioni, ad avviso del Decisore, discende che  «mentre l’affermazione nel modulo di autocertificazione da parte del privato di una situazione passata (si pensi alla dichiarazione di essersi recato in ospedale ovvero al supermercato) potrà integrare gli estremi del delitto de quo, la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una certa attività non può essere ricompresa nell’ambito applicativo della norma incriminatrice, non rientrando nel novero dei “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità». Infine, conclude la sentenza  «il nostro ordinamento non incrimina qualunque dichiarazione falsa resa ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio ma costruisce i reati di falso secondo una sistematica casistica: ne consegue che il rilievo della falsa dichiarazione è legato all’individuazione di una specifica norma che dia rilevanza al contesto e alla singola dichiarazione»; ne consegue, «per le ragioni appena espresse, che la dichiarazione di una mera intenzione nell’ambito di un modulo di autocertificazione non può rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 483 c.p., limitato ai soli “fatti” già occorsi»